giovedì 3 febbraio 2011

vivo alla morte, ma morto alla vita.

Titolo Il fu Mattia Pascal

Autore Luigi Pirandello


Il fu Mattia Pascal esce nel 1904 ad opera dello scrittore e drammaturgo siciliano Luigi Pirandello, dapprima venne pubblicato a puntate sulla rivista “Nuova Antologia” e poi in volume come estratto, da questo periodico. Il romanzo fu scritto dopo la grave crisi familiare del 1903, che pose Pirandello in cattive condizioni economiche e scatenò la malattia mentale della moglie.
Nonostante queste profonde difficoltà personali “Il fu Mattia Pascal” fu il romanzo della svolta. Il esso, difatti, viene applicata la poetica dell’umorismo e appaiono i temi fondamentali dell’opera pirandelliana come, ad esempio, quelli del “doppio”, il problema dell’identità, la critica al moderno e alla civiltà delle macchine. 
La storia di Mattia Pascal comincia dalla fine. Nei primi due capitoli si narra la trasformazione del protagonista nel “fu” Mattia Pascal. Egli vive in uno stato di non-vita, cioè in una condizione di assenza del tempo, di immobilità, di totale estraneazione rispetto all’esistenza in un tempo e spazio completamente morti dati dal lavoro di bibliotecario in un paesino campestre della Liguria.
Nella seconda parte, il protagonista è il giovane Pascal che vive con la madre e il fratello nelle terre di campagna ereditate dal padre. Ad insidiare questa idilliaca ed agita vita è l’amministratore-ladro Batta Malagna, che grazie all’ingenuità della donna riesce a mandare in crisi economica la famiglia. Per vendicarsi di lui, Pascal seduce Romilda da cui il vecchio amministratore vorrebbe un figlio. Il caso vuole che però Mattia ingravidi la moglie Olivia, creduta sterile, di Batta Malagna. Lo scambio dei ruoli volge a termine, mentre Malagna riconosce come proprio il figlio di Olivia, Pascal deve accettare come moglie Romilda, il cui scopo era quello di farsi sposare dal ricco amministratore. L’inferno della nuova vita coniugale, le difficoltà economiche gravate dall’odio della suocera e le disgrazie date dalla morte della madre e delle due gemelle avute da Romilda, inducono Pascal al suicidio. Esso però, improvvisamente, vede aumentare le sue ricchezze grazie al gioco della roulette e approfittando di una falsa notizia, che lo vede cadavere, decide di cambiare identità.
Comincia a questo punto la terza fase del romanzo, di questa parte è protagonista la nuova incarnazione di Pascal, il quale assume il nome di Adriano Meis. Egli cercando di costruirsi un nuovo io e di vivere in completa libertà, dopo un soggiorno a Milano e l’esperienza della modernità di una metropoli industriale, si reca a Roma alloggiando nella pensione di Anselmo Paleari, nella quale si innamora della figlia Adriana, che il cognato Papiano insidia. I timori che venga scoperta la sua vera identità, l’impossibilità di crearsi uno stato civile che permetta il matrimonio con Adriana, portano Pascal-Meis a operarsi all’occhio strabico, tratto che lo aveva caratterizzato fin da bambino, e a non denunciare il furto che subisce ad opera di Papiano.
Meis accortosi di non poter sposare Adriana, per allontanarla da sé corteggia la fidanzata di un pittore spagnolo, il quale lo sfida a duello. Per l’ impossibilità di trovare i padrini necessari per battersi, decide di fingere il suicidio dal Tevere.
La formazione di un nuovo se è fallita. A questo punto del romanzo, rientra in scena la prima parte, quella di cui è protagonista il “fu” Mattia Pascal, che per ben due volte è stato giudicato morto.
Fuggito da Roma, Pascal torna nel paesino della sua infanzia e trova Romilda sposata all’amico Pomino, dal quale ha avuto una figlia. Egli rinuncia alla vendetta e ad avvalersi della legge, in quanto sarebbe lui il marito legittimo della donna, decide di rimanere in paese “come fuori della vita”.  Il “fu“ Mattia di notte dorme nel letto della madre morta, quasi a ricongiungersi idealmente a lei, e di giorno vive in una biblioteca abbandonata. Inoltre va a trovare la propria tomba, tanto da considerarsi al di là della vita.
Se all’inizio del romanzo il protagonista poteva dire “Io mi chiamo Mattia Pascal” dando così rilievo alla convenzione sociale della “maschera” nominativa, nel finale può dire di sé soltanto “Io sono il fu Mattia Pascal”, manifestando così la consapevolezza non solo del suo distacco dalla vita, ma anche della trasformazione che lo ha portato a negare qualsiasi valore dell’identità sociale. Pascal parlando con il vecchio bibliotecario, don Eligio, il quale enuncia che fuori dalle convenzioni sociali è impossibile vivere, dichiara di non sapere proprio chi egli sia, cioè di non conoscere la propria identità. Ha intuito, infatti, che un identità vera non esiste, né d’altra parte, può essere conferita da norme sociali false e inautentiche che riducono l’uomo a un nome e ad una mera maschera. 
Tagliando qualsiasi legame vitale con l’esistenza, il protagonista rifiuta ogni immediatezza e concretezza, per limitarsi a guardare dall’esterno, in forme riflessive ed astratte, la vita di coloro che credono di essere persone e invece sono soltanto delle maschere, completamente incapaci di mettersi a nudo. Questo atteggiamento di distanziamento è fatto valere anche verso se stesso, attraverso un distacco umoristico e ad un’estraneità critico-negativa.
Il romanzo esprime una concezione forte del relativismo, il mondo varia non solo da individuo a individuo, ma nella stessa persona a seconda del momento e dello stato d'animo. Poiché però l'uomo ha bisogno di verità assolute, egli vuole credere che i propri valori siano certi e che la realtà sia oggettiva: invece tutto è soggettivo. L'inganno fa credere all'uomo tutto questo. Ciò però è solamente un’ illusione.  Quest'opera sarà sempre attuale, in quanto donando molti ed ottimi punti di riflessioni al lettore e facendo svolgere il romanzo tra il riso ironico e la drammaticità della vita di Pascal, rende il soliloquio del protagonista un mezzo, dinamico e scorrevole, grazie al quale ogni persona può analizzare la propria interiorità e partendo da un esternalizzazione oggettiva critica arrivare all’accettazione del proprio io. Mattia Pascal ci insegna a gettare la maschera, ed io credo che ciò, nel ventunesimo secolo, sia un grande insegnamento, che tutti dovrebbero prendere in considerazione.